Fra architettura e letteratura, esistono sorprendenti affinità.
Entrambe sono sospese fra genio e mestiere. Il secondo è il continuo lavorìo quotidiano che distilla e dà ragione delle istanze del primo.
Entrambe si trovano a confrontarsi, e scontrarsi, con gli Stili, le correnti, le scuole (al proprio interno) da abbracciare, ripudiare, creare dal niente. Fuori dal proprio milieu, con la società, la gente, la realtà, il rapporto con la Storia trascorsa, fuori dalla disciplina, il giudizio della Storia da venire, dentro al suo recinto.
In ogni caso, sono testimoni narranti, attori, simboli, del proprio tempo.
Entrambe, soprattutto, si trovano a creare dei Luoghi. Possono in taluni casi limitarsi a narrare e descrivere la realtà, possono spesso involversi e essere semplice cifra stilistica di se stesse. E tuttavia, il compito al quale sono chiamate in prima istanza resta pur sempre lo stesso.
Si badi, in fondo ci potrebbero essere molti altri modi di fare architettura come di fare letteratura. E questi paralleli, magari, calzerebbero anche fra la musica e l’arte pasticciera.
Ma questi caratteri sono fortissimi nella letteratura dei Wu Ming e –se nell’architettura che ci piacerebbe fare suona troppo pretenzioso– sicuramente nell’architettura che ci piace guardare e nell’idea che di essa ci piace avere. Tuttavia, considerando quanto scritto, sotto determinati punti di vista, rispetto a certe angolazioni, in alcuni momenti, ci sembra che possano quasi ammantarsi del fascino delle Definizioni Assolute. Ma passa subito.
Procedendo con ordine.
Il genio e il mestiere
Questa è una affascinante lezione dei Wu Ming. Se la famigerata espressione labor limae (avremmo preferito sottacerla, quanto è trita, ma tant’è) ci entra nelle orecchie già dalla prima lezione della prima insegnante di lettere della prima media, i Wu Ming portano questo aspetto del fare letteratura ai livelli più alti. Sono prima di tutto, crediamo, degli artigiani. Degli intagliatori di storie, dei cesellatori di parole. Il collettivo lavora come una bottega artigiana, tesse, disfa, cuce, valuta, assembla, prova, disfa ancora, aggiusta, sforbicia, tornisce, martella, pialla. Abbiamo cominciato a immaginare le loro riunioni sovrastate dal rumore del mantice, dagli sbuffi del vapore, interrotte da piogge di lapilli.
Oltre al folto passato, inutile ricordare l’illustre esempio contemporaneo di questo tipo di approccio nel campo del fare architettura. Poiché tuttavia considerare frusto anche Renzo Piano sarebbe quanto meno impertinente, e tributandogli quindi il dovuto rispetto, non possiamo che rivolgere la mente all’idea che ama dare delle sue botteghe di Punta Nave e Rue Des Archives.
Per poi pensare al metodo didattico Beaux Arts, che in questa organizzazione orizzontale e verticale al tempo stesso affonda le sue radici, nella remota e rinascimentale idea degli ateliers.
Ma in fondo ogni studio di architettura è un collettivo, e tanto più funzionale quanto più rodato, affiatato e sincronizzato.
Oltre alla continua dicotomia tra creatività ed esperienza, che per ogni scrittore è, presumiamo, intuibile, per un architetto è perfino più semplice capire quello che ai loro colleghi sembra assurdo, e cioè che si riesca a scrivere un libro lavorandoci in quattro teste. Per un edificio sono quasi poche. Vero è che quelle degli architetti contano meno, pare che ne servano almeno due per svitare una lampadina.
La Storia
Un fatto importante che abbiamo sottaciuto finora è che i Wu Ming non scrivono semplicemente romanzi. Scrivono romanzi storici.
Decidiamo di tralasciare il ragionamento sulle scuole, sulle accademie, sulle correnti e gli stili, da un lato intuibile e dall’altro troppo vasto per questa trattazione.
Vediamo invece la Storia.
Questo, per un architetto –italiano soprattutto– è un vero, dolcissimo capestro. Una squisita soma. Le famigerate persistenze ambientali propongono una necessità di porsi come misure del paesaggio molto spesso trascesa, nel nostro paese, da una vera sudditanza nei confronti dell’antico, o più semplicemente del vecchio, o peggio ancora dell’obsoleto-ma-comunque-rappresentativo. Per questo in Italia, in un luogo peraltro pieno di magia come il Canal Grande, Wright non ha potuto aggiungere la propria visione: dell’architettura, dell’Italia, di Venezia, del Canal Grande. Esso è, e deve restare, immutato. Mummificato. Roma è stata scempiata da alcune bestemmie come quelle, giusto per dire, berniniane, quando avrebbe potuto essere un pompeiano museo a quello-che-resta-di-ciò-che-fu. Per nostra fortuna, Roma se ne è infischiata, ed ha continuato ad essere Roma.
E dunque, dai Wu Ming e dal loro rapporto con la Storia, ci piacerebbe prendere il gusto del gioco. La voglia di non smettere mai. La capacità di vedere la storia come un flusso da afferrare, e non un cristallo da ammirare.
Non scrivono saggi storici. Non relazionano di avvenimenti storici.
Rielaborano. Masticano. Si documentano. Descrivono accuratamente e filologicamente, e inventano di sana pianta. Improvvisano, e citano. Nei romanzi dei Wu Ming, e questa è la loro forza, non sai mai dove arriva la Storia e dove comincia l’Invenzione. Sono un tutt’uno. Armonizzato, continuo. Reso coerente dalla nuova prospettiva.
Così, noi crediamo, un architetto dovrebbe lavorare con quello che trova quando arriva. Lavorando di invenzione su un riferimento amato, studiato, conosciuto abbastanza da poterlo disattendere e reinterpretare.
Si potrebbe obbiettare che un romanzo non fa tanto male alla Storia quanto un nuovo brutto progetto alla città storica. È per questo che noi abbiamo un esame di Stato, no?
Luoghi possibili
Non crediamo che alla fin fine l’architettura costruita arrivi a creare delle realtà tanto più concrete di quelle che edifica la letteratura. Per quanto ci riguarda, la Terra di Mezzo è molto più reale di Saigon o Austin. Si potrebbero fare infiniti esempi, e questi paralleli sono sicuramente già stati strutturati in passato con ben maggiore cognizione. Le città invisibili ha probabilmente avuto più peso disciplinare in architettura che in letteratura.
Quindi il paradosso con il quale ci troviamo a giocare è più o meno il seguente: creare un immaginario luogo reale pensato per qualcuno che di mestiere crea reali luoghi immaginari.
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